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Natalità: il Giappone e le sue similitudini con l’Italia

28 giugno 2023 – Come gli altri Stati europei stanno affrontando l’inverno demografico

Abbiamo già preso in esame i casi di Francia, Germania, Svezia e Repubblica Ceca. Per la prima volta andiamo a indagare la situazione di un Paese non europeo, il Paese del Sol Levante.

Il Giappone rappresenta un caso non dissimile rispetto a quello italiano: non sarebbe la prima volta che l’Italia viene accostata a questo Paese, con entrambi che vantano numeri molto alti di ultracentenari, per esempio. Ma le similitudini non si fermano a questo dato: anche lì infatti il numero dei nati per anno è in calo drastico da ormai sette anni consecutivi. Il TFT (il tasso di fertilità totale) giapponese è di 1,30 (al 2021), dichiara il Ministero della Salute, e sottolinea anche quanto velocemente in questo momento la popolazione stia invecchiando, parallelamente a un calo dei matrimoni. Come nel resto del mondo, anche in Giappone la pandemia ha complicato il quadro, facendo impennare il numero delle morti nel Paese. Il trend può essere ancora invertito, sebbene la finestra di tempo utile si stia progressivamente riducendo, avendo come data ultima a disposizione il 2030, quando la popolazione giovane inizierà a sua volta a calare. Il primo ministro Fumio Kishida ha definito questo momento come “ora o mai più”.

Il tasso di fertilità totale

Fino al 2021 l’indice TFT era di 1,30. Secondo le proiezioni, la popolazione nipponica (che oggi conta 125 milioni) è destinata a scendere fino a 87 milioni entro il 2070. Il Giappone si attesta in cima alle classifiche come Paese con la popolazione più anziana nel mondo, e questo dato diventa allarmante soprattutto per l’economia asiatica, che sta subendo dei cambiamenti interessanti. Inoltre, i nipponici percepiscono un distacco e un apparente disinteresse da parte del governo nell’attuare riforme e prendere provvedimenti nei confronti di una situazione tanto grave, resa ancora più complessa da lungaggini burocratiche. Una preoccupazione che cresce anche di fronte all’espansione inarrestabile della Cina.

In effetti, Kishida ha annunciato un pacchetto di aiuti ai bambini e alle famiglie di ben 3.5 trilioni di yen (ovvero circa 23 miliardi di euro), che prevede anche delle misure di childcare e la promozione di attività doposcuola per i bambini. Misure che, tuttavia, non sono ritenute sufficienti per rispondere alla crisi in corso.

Secondo delle indagini recenti, le donne giapponesi non accantonano del tutto l’idea della maternità, ma preferiscono rimandare al fine di non ostacolare la carriera e di non rinunciare alla propria libertà: dal 1950, l’età media della prima gravidanza è salita fino a 30.9 anni. Infatti, stando a quanto emerge dalle testimonianze delle donne giapponesi, in realtà sembra esserci spazio per una scelta: qualora dovesse subentrare una gravidanza, la madre dovrà quasi necessariamente rinunciare a ogni ambizione che esuli la cura del figlio. Si pone inoltre il tema economico: crescere un bambino in Giappone è molto costoso, dal momento che il Paese è, dopo Cina e Corea del Sud, il terzo più caro in termini di servizi per l’infanzia. Il salario medio giapponese è stato solo lievemente aumentato nel 1990, salendo a 39.000 yen circa l’anno.

Abbiamo visto come in Francia, Germania e Svezia l’occupazione femminile sia uno dei principali vettori di sviluppo e sostegno dell’economia nazionale, e conseguentemente una spinta per le donne a decidere di intraprendere una gravidanza. In Giappone esiste ancora un grande problema legato al gender pay gap: una donna nipponica guadagna il 21.1% in meno rispetto al suo collega uomo, il doppio della percentuale che si registra nel Paesi più sviluppati.

La situazione femminile 

Una struttura sociale e familiare, quella giapponese, che vede ancora oggi l’uomo come responsabile economico del nucleo e la donna come nutrice, il che non si accompagna con il desiderio di emancipazione femminile e dunque con una serena conciliazione della vita privata con quella lavorativa.
Yuko Kawanishi, professoressa di sociologia dell’Università Lakeland di Tokio, afferma che parte integrante del problema demografico del Giappone risiede esattamente nel funzionamento del mondo del lavoro: le donne giapponesi con figli sono disincentivate nel ricercare un impiego a tempo pieno (seiki), indirizzandole piuttosto verso un part-time (hiseiki), col risultato che, di fatto, solo il 30% di loro è una lavoratrice full-time.

È interessante notare come la correlazione fra matrimoni e nascite in Giappone sia più stretta che altrove: solo il 2% dei bambini nasce fuori dal matrimonio, rispetto al 40% dei Paesi più sviluppati. A ogni evidenza, nella cultura giapponese, un figlio nato fuori dal matrimonio è considerato illegittimo.

Le prospettive

Insomma, il sistema di aiuti messo in piedi dal Giappone potrebbe risolvere il problema della denatalità nel breve periodo, ma per avere un impatto reale e a lungo termine sulla demografia del Paese è necessario che si operino riforme strutturali ben più profonde.

Il Dipartimento degli Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite evidenzia quanto questa sia una tendenza globale, che porta certo delle sfide, ma che può anche tradursi in opportunità significative per i Paesi che stanno affrontando un generale invecchiamento della popolazione.

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