Natalità: un’analisi comparata tra Francia e Germania
16 maggio 2023 – Come gli altri Stati europei stanno affrontando l’inverno demografico
È ormai nozione comune che l’Italia sta vivendo un calo nella natalità senza precedenti nella storia della Repubblica. Lo riportano chiaramente i dati Istat pubblicati lo scorso aprile: la natalità è al suo minimo storico, mentre la mortalità resta elevata (meno di 7 neonati per 12 decessi per 1000 abitanti) e gli italiani emigrano molto di più che in passato (si è passati da un +88mila del 2020 a un +160mila del 2021 a un +229mila del 2022). L’indice TFT (tasso di fecondità totale, basato sul numero dei figli per donna) è in media di 1,24 – con l’unica eccezione del Trentino-Alto Adige (1,51). Dunque, meno nascite, più decessi e un’aspettativa di vita media di 82,6 anni.
Abbiamo deciso di prendere in esame gli altri due Paesi più popolosi dell’Unione europea, ovvero Francia e Germania, per tracciare un confronto e realizzare un’analisi comparata.
Francia
La Francia è contraddistinta da un TFT decisamente più alto rispetto a quello italiano, 1,83 rispetto a 1,24 al 2020, attestandosi tuttavia in testa ai Paesi europei per numero di nati. In effetti, la Francia ha mantenuto tutto sommato invariato il tasso di natalità anche dopo il 2010, quando invece si vedono corrispondere i cali negli altri Paesi europei e negli Stati Uniti, e anche a fronte di un’impennata della disoccupazione giovanile. Uno dei motivi sembra risiedere in una serie di scelte politiche adottate negli ultimi decenni a sostegno della genitorialità: queste non solo agevolano le nascite, ma sostengono la scelta di fare dei figli nel lungo periodo con aiuti che crescono all’aumentare dei figli che compongono il nucleo familiare.
Conciliazione vita-lavoro, fertilità e lotta alla povertà familiare sono i tre pilastri diqueste politiche. Già a partire dagli anni Ottanta e Novanta, la Francia è stata molto attiva nello sviluppo di un sistema di assistenza all’infanzia. Nel 2019, circa il 60% dei bambini al di sotto dei tre anni ha avuto accesso a un servizio di assistenza, rispetto a un 36% in media in tutta l’OCSE e a un 28% dei bambini italiani.
Un ulteriore aiuto alle famiglie francesi viene da una legge che prevede che uno dei genitori possa usufruire di un part-time a lavoro per i primi tre anni di vita del bambino, e allo stesso tempo viene incentivato il tempo pieno nelle scuole, ancora poco diffuso nel nostro Paese ma popolarissimo in Francia.
La Francia, inoltre, si avvale di una specifica politica fiscaleche permane nel tempo e che è incentrata sul quotient familial. Le aliquote fiscali si applicano sul reddito complessivo del nucleo familiare diviso per ilquotient, che attribuisce un peso maggiore al crescere dei carichi familiari.
Inoltre, esistono dei fattori indiretti che contribuiscono al mantenimento di questa media in termini di natalità, e parliamo di politiche sociali come la scuola gratuita o soluzioni abitative favorevoli alle famiglie.
Germania
L’indice TFT della Germania invece è dell’1,53. Il caso tedesco risulta particolarmente interessante in quanto è riuscito a rialzare il tasso di natalità a metà degli anni 2000, quando il Paese ha registrato il suo minimo storico in termini di nascite, toccando l’1,33.
La Germania negli ultimi 20 anni ha investito su corpose politiche per la famiglia, con il risultato che i tedeschi sono più propensi ad avere figli.Dalla prima metà degli anni 2000, il Paese ha avviato un processo che ha visto il restringimento e la privatizzazione delle politiche pensionisticheparallelamente all’espansione delle politiche per la famiglia già avviate a fine anni ’80. Dagli anni 2000 i governi Schröder e Merkel, con al Ministero della famiglia Ursula von der Leyen, sono riusciti a portare le riforme necessarie in Parlamento, persuaso all’implementazione delle misure grazie al problema dei bassi tassi di natalità fatti emergere da von der Leyen.
Il cambiamento di paradigma è stato il cardine di tale implementazione: le famiglie dovevano rifarsi all’adult worker model(modello del lavoratore adulto), e non più all’male breadwinner(chi porta il pane a casa): se il secondo faceva ricadere sulle spalle del padre il peso del sostentamento economico della famiglia, il primo divide tale responsabilità su generiche personalità adulte in grado di lavorare, e dunque di contribuire in egual misura ai bisogni del nucleo.
La Germania si è dotata di un congedo di maternità obbligatorio (Mutterschutz) di 14 settimane – con una compensazione pari alla media del salario degli ultimi 3 mesi – e dell’Elterngeld,un congedo parentale di 12 mesi con retribuzione del 67% del reddito fruibile da entrambi i genitori fino al 100% per le famiglie meno abbienti, cui si aggiunge una premialità che lo porta a 14 mesi se l’altro genitore (di solito, il padre) ne prende almeno una parte. Tale misura ha contribuito in maniera significativa all’ingresso nel mercato del lavoro delle donne, ma anche al loro ritorno a lavoro il prima possibile dopo la nascita del figlio, e conseguentemente a una più equa ripartizione degli oneri familiari.
Nel 2004 fu lanciato un piano quinquennaleda 4 miliardi, poi aumentati a 5,4 miliardi tra il 2007 e il 2014. Nonostante un’iniziale resistenza a spendere fondi del Governo federale da parte di alcuni Länder, nel 2013 una legge ha introdotto il diritto legale per i bambini di avere accesso ai servizi a partire dal primo anno di età, come ad esempio la garanzia un numero adeguato di asili nido per Land. Il risultato è stato un aumento del ricorso ai servizi di cura da parte delle famiglie: nel 2019 il 31,3% dei bambini sotto i 3 anni ha usufruito di almeno un’ora di servizi pubblici per l’infanzia, contro il 26,3% italiano.
Altro dato fondamentale è il Kindergeld, presente già dagli anni Cinquanta e che garantisce un assegno per figlio in ogni famiglia indipendentemente dal reddito. Dal 1° gennaio 2021 questo assegno corrisponde a 219 euro al mese per il primo e secondo figlio, 225 euro per il terzo e per quelli successivi di 250 euro. IlKinderzuschlag è invece destinato ai genitori il cui reddito mensile non è sufficiente a coprire interamente il fabbisogno della famiglia e corrisponde a 185 euro mensili per figlio. Le famiglie che lo ricevono sono esonerate dal pagamento delle spese per asili e ulteriori servizi di cura. Tramite il Bildungspakete si consente ai figli di famiglie che ricevono il Kinderzuschlag di partecipare ad attività sociali, sportive e culturali. A queste misure, si aggiungono delle detrazioni fiscali fino ai due terzi dei costi sostenuti legate a spese per i figli fino a 14 anni nei nuclei in cui entrambi i genitori lavorano.
La vera forza dell’impianto tedesco è il principio di conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare, caratterizzato a sua volta da una spiccata gender equality nella ripartizione dei compiti all’interno del nucleo familiare e che si rifà a un modello scandinavo: un cambiamento più culturale per il quale gli uomini sono sempre più coinvolti nella crescita e nell’educazione dei propri figli.
Le indagini OCSE hanno di fatto dimostrato che laddove l’occupazione femminile sia più alta, a questa corrisponde anche un tasso di fertilità maggiore. I tedeschi hanno capito che la famiglia è più stabile se il sostegno economico ricade su entrambi i genitori, facendo dell’occupazione femminile una questione assolutamente prioritaria per il Paese.