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Dati Istat allarmanti, occorrono politiche per i prossimi 20 anni

8 aprile 2024 – Roma

di Annamaria Parente 

Gli indicatori demografici diffusi dall’Istat qualche giorno fa confermano un quadro per molti aspetti allarmante. I dati in esso contenuti vanno analizzati per comprendere in quale direzione stiamo andando e come intervenire.

Innanzitutto, è da mettere in rilievo il calo delle nascite. Il rapporto riferisce, infatti, che la riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale, sono 50.000, 3.000 in meno rispetto al 2022. La tendenza al calo delle nascite è, dunque, complessiva e, anche se l’immigrazione in Italia ringiovanisce la struttura della popolazione per età, il suo effetto sui livelli di fecondità è sempre più debole.

Fatto sta che con 1,2 figli per donna e 379.000 nati residenti nel 2023, il calo delle nascite è vertiginoso, con un saldo negativo di 14.000 nuovi nati rispetto al 2022. Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197.000 unità (-34,2%).

Del resto, a causa del pregresso di fecondità degli anni scorsi, la denatalità sarà determinata nel futuro anche dal calo della popolazione femminile nell’età convenzionalmente riproduttiva (15-49 anni).

Tutto ciò testimonia la necessità di azioni per invertire il trend demografico che possano essere pensate e impostate almeno da qui ai prossimi vent’anni (come ammonivano i demografi già nei decenni scorsi), per non arrivare al punto di non ritorno.

In Italia siamo già molto vicini a quel punto, ma non è ancora il tempo di scoraggiarsi. La scommessa è su politiche di sostegno alle persone e alle famiglie che desiderano avere figli in grado di invertire il trend, come testimonia il caso del Trentino-Alto Adige (dove c’è un tasso di fecondità di 1,42 figli per donna). Qui le azioni di sostegno alle coppie (come agevolazioni sui mutui prima casa, asili nido e alta occupazione femminile) portano la Regione a tassi di fecondità ben al di sopra della media nazionale.

È dunque necessario tornare al concetto di «valore sociale della maternità e della paternità» per non lasciare donne, uomini e famiglie sole di fronte alle scelte di genitorialità.

La demografia, però, non è solo natalità, ma anche invecchiamento della popolazione, aspettativa di vita e spopolamento di alcune aree del Paese. Anche in questo caso il rapporto Istat fornisce dati significativi. Aumenta, ad esempio, il numero di ultraottantenni (i cosiddetti ‘grandi anziani’), con 4.554.000 individui (quasi 50.000 in più rispetto a 12 mesi prima). Questo dato ha superato quello dei bambini sotto i 10 anni di età (4.441.000 individui). Diminuiscono inoltre gli individui in età attiva, ovvero le persone con età compresa tra i 15 e i 64 anni, che scendono a 37.447.000.

Questi fenomeni , letti in combinazione tra loro, ci restituiscono un quadro di preoccupazione per la sostenibilità del nostro welfare, del sistema pensionistico, del ringiovanimento delle forze lavoro, delle nuove competenze, ma ci dovrebbero anche far interrogare sul nostro vivere futuro, in una società con pochi bambini e giovani che possano attingere a quel patrimonio di conoscenze, esperienze e valori degli anziani che saranno sempre più soli, se non accompagnati da importanti politiche sociosanitarie.

Sono preoccupanti, inoltre, i dati sull’aspettativa di vita distinti per Regioni, dove la Campania è sotto di più di due anni rispetto alle Regioni in testa alla classifica (79,4 anni contro 81,9 della Lombardia).  È questo un indice di ingiusta diseguaglianza che deve indurci a rafforzare il nostro sistema sanitario per garantire l’effettivo diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, sull’intero territorio nazionale.

Infine, non possiamo tralasciare i dati sullo spopolamento di alcune aree. Nel corso del 2023 la popolazione delle aree interne è diminuita complessivamente di 32.000 unità (-2,4 per mille) rispetto al 2022, con marcate differenze da Nord a Sud del Paese. Ma mentre le aree interne del Centro-nord risultano stabili rispetto all’anno precedente, le aree interne del Mezzogiorno evidenziano una perdita complessiva pari a circa 35.000 unità. Complessivamente, il calo della popolazione nelle aree interne del Mezzogiorno ha interessato 4 comuni su 5.

L’abbandono delle nostre aree interne, soprattutto del Mezzogiorno, evidenzia il bisogno di politiche di sviluppo mirate e incisive, per rendere i nostri borghi vivibili: non solo per qualità di vita, ma anche per offerta di servizi, occupazione, sanità di prossimità.

In definitiva, il rapporto sugli indicatori demografici dell’Istat ci consegna un quadro a tinte fosche, ma con barlumi di luce da rendere sempre più forti.

Tutto ciò sarà possibile con politiche di sostegno alla famiglia, all’occupazione, allo sviluppo economico e sociale in un quadro di ‘sistema’ per un futuro migliore, a partire da una primavera demografica.

Dati Istat allarmanti, occorrono politiche per i prossimi 20 anni - Per una primavera demografica - Annamaria Parente

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Causale “Ricerca demografia”

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