Natalità: il caso svedese
31 maggio 2023 – Come gli altri Stati europei stanno affrontando l’inverno demografico
La Svezia è solitamente nota per il suo sistema di welfare capillare e strutturato. Tuttavia, stando alle considerazioni fatte per Germania e Francia, sorprende che il tasso di natalità (l’indice TFT, ovvero il tasso di fecondità totale) del Paese scandinavo sia di 1,66, inferiore a quello francese. In Svezia il welfare è universale, tanto per quanto riguarda i servizi quanto per le elargizioni economiche. Sebbene sia impostato su base individuale, tutte le famiglie ottengono un assegno (1.480 euro l’anno per un figlio, 3.132 per due figli, 5.300 per tre figli).
Il modello nordico come riferimento
Il modello scandinavo è divenuto comune anche a Norvegia, Finlandia, Danimarca e Islanda, sebbene ognuno di questi Paesi presenti delle differenze. In linea generale, questo prevede programmi di assistenza sanitaria universale, diritto all’istruzione gratuito (sanità e istruzione sono due dei campi nei quali i Paesi scandinavi investono di più rispetto alla media OCSE) e un sistema previdenziale.
Dal punto di vista del mercato del lavoro, si conta un alto numero di individui impiegati nel settore pubblico. Inoltre, grazie a corposi e rigorosi programmi di formazione, si intende favorire un’occupazione a lungo termine e una buona mobilità. Questo si coniuga a una grande facilità d’impresa e di libero commercio, a una politica fiscale progressiva e a un basso tasso di corruzione, che ammortizza un carico fiscale fra i più alti d’Europa.
La situazione svedese
Per quel che riguarda la condizione femminile, l’occupazione in Svezia tocca l’80% – contro il 52% italiano. Inoltre, come incentivo sia al lavoro femminile che alla natalità, il Paese ha realizzato un sistema pubblico di conciliazione, che si articola come accesso al nido per i bambini, congedi parentali generosi, aiuti economici per le spese e “premi” per chi decide di allargare il nucleo familiare con la nascita di un secondo figlio.
I congedi parentali in Svezia esistono dal 1974, con pari oneri e onori per padri e madri: oggi quasi la metà degli uomini sceglie di restare a casa e accudire i bambini appena nati. Il congedo retribuito è per tutti i cittadini, con una somma fissa per chi non ha un lavoro dipendente. Inizialmente la durata prevista del congedo è di sei mesi, ma può passare a nove, dodici, quindici e sedici. Una volta conclusosi questo periodo, i neo-genitori sono messi nelle condizioni di chiedere il part-time, se lo desiderano. Fino al compimento del dodicesimo anno del figlio, i genitori possono assentarsi dal lavoro per 60 giorni l’anno.
Altro fattore determinante è l’accessibilità al nido per la totalità dei bambini (se figli di lavoratori dipendenti, il diritto è garantito, mentre chi ha un reddito più alto è tenuto a pagare un ticket). I genitori fino a 29 anni con almeno un figlio hanno diritto a un’indennità che va a coprire circa la metà della spesa per l’affitto dell’abitazione. Per incentivare le nascite, lo Stato “ricompensa” chi fa un altro figlio entro 30 mesi dalla nascita del primogenito: il genitore non deve tornare al lavoro nel periodo fra il primo e il secondo congedo. La nascita di secondogeniti entro i 30 mesi dalla prima gravidanza è cresciuta dal 30% al 45% nelle madri.
La Svezia alloca circa il 3% del Pil a infanzia e famiglia – l’Italia meno della metà.
Un paradosso (apparentemente) inspiegabile
Un sistema così favorevole sembra non potersi coniugare a una realtà diversa, quella per cui la Svezia non vanta certo un tasso di natalità particolarmente alto.
Nel Paese scandinavo si va evidenziando che le nascite sono in calo, mentre l’età media delle madri è in rialzo. La Svezia ha di fatto subìto un’evidente fase decrescente in seguito alla crisi economica del 2008, sebbene da allora il TFT stia registrando una timida risalita. Le ragioni finora emerse, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare il fenomeno.
Se infatti si è ritenuto per molto tempo che il problema della denatalità affliggesse soprattutto l’Europa meridionale e orientale, oggi sappiamo che anche a Nord la situazione non è certo rosea, con l’ex prima ministra norvegese Erna Solberg che invitava i cittadini a fare più figli. Si tratta di un nuovo trend, secondo Gunnar Andersson – professore di Demografia presso il dipartimento di Sociologia dell’Università di Stoccolma – il quale evidenzia come questa problematica interessi tutti i Paesi nordici (Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda) fatta eccezione per la Danimarca. Il docente segnala inoltre che, sebbene il calo coincida con la crisi economica del 2008, rimane comunque poco plausibile che la causa possa risiedere solo qui, dal momento che nonostante una fase difficile a livello globale la Svezia non ha mai mostrato troppa sofferenza, e la ripresa è stata piuttosto agevole, con tassi di disoccupazione che si sono mantenuti comunque bassi.
Un futuro incerto
Le virtuose politiche familiari succitate sono rimaste immutate. Allora, ipotizza Andersson, potrebbe trattarsi di una paura nei confronti di un futuro incerto, dovuto anche al peggioramento sul fronte della crisi climatica.
Anche le donne aspettano più a lungo prima di dare alla luce il primo figlio, con una media d’età che si aggira a oggi attorno ai 29,75 anni. Secondo il professore, la Svezia al momento non è in una condizione di pericolo denatalità. La professoressa Livia Oláh, collega di dipartimento del professor Andersson, spiega che una causa potrebbe essere l’insicurezza percepita del mondo del lavoro, fatto di sempre più precarietà e con meno garanzie specie per i più giovani: il mercato è molto cambiato anche solo da una generazione all’altra. Questo spiega anche perché è più probabile che oggi in Svezia siano le donne più mature a decidere di mettere al mondo un figlio rispetto alle donne più giovani (quelle nate fra la fine degli anni ‘80 e nel corso degli anni ‘90).